mercoledì 25 dicembre 2019

Yaryna Moroz Sarno, L'iconografia medievale della Natività di Gesù


Yaryna Moroz Sarno 


Lo sviluppo dell'iconografia medievale della Natività di Gesù


     La miniatura dal Menologio di Basilio II della fine del X secolo (ca 985), 
la Biblioteca Apostolica Vaticana (Vat. Graec. 1613, fol. 278)

    “E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele”, annunciò il profeta Michea (Mic 5,1). Prima di essere il luogo della nascita di Gesù, Betlemme è il luogo della nascita dell’ultimo dei Patriarchi, discendente di Giacobbe: Beniamino (Gn 35,16). Betlemme era anche la città del profeta Davide, dove è nato qui e ha trascorso l’infanzia pascolando il gregge e dove riceverà l’unzione regale dalle mani del profeta Samuele. Nel Betlemme (dall'ebraico "casa del pane") nasce "Pane vivo disceso dal cielo" (Gv 6, 41).
    
"Ti saluto, o casa del pane, nella quale è nato quel Pane disceso dal cielo", disse nell'Omelia 108 San Girolamo. "Pane del cielo", Gesù che nasce in una grotta è fonte di vita nell’Eucarestia. Il rapporto tra Betlemme “la casa del pane” e l’Eucaristia è molto profondo. “Felice chi ha Betlemme nel suo cuore, nel cui cuore, cioè, Cristo nasce ogni giorno! Che significa del resto “Betlemme”? Casa del Pane. – Siamo anche noi una casa del pane, di quel pane che è disceso dal cielo.” commentando il Salmo 95, scrisse S. Girolamo.


  
Sarcofago con la rappresentazione del presepe dell'ultimo terzo IV secolo dalla Necropoli Vaticana

  
   Nel 330 ca si iniziò la costruzione della basilica della Natività dall'iniziativa dell’imperatore Costantino I e di Santa Elena. Con il tempo si maturava la consapevolezza della necessità di festeggiare la nascita del Redentore per rafforzare la fede nell'Incarnazione. Nella 'Depositio Martyrum' è stata già scritta la festa del Natale che veniva celebrata nel 25 dicembre del 336 a Roma. Il Cronografo Romano del 354 indica invicti "[giorno] natale del non vinto", VIII kalendas Ianuarii, la "nascita di Cristo a Betlemme di Giudea" (natus Christus in Betleem Judeae).
   Per lo sviluppo della rappresentazione della Natività è fondamentale l’istituzione della festività del Natale stabilita dal papa Liberio nel 354 (l'anno della consacrazione dell'antica basilica di Santa Maria Maggiore a Roma che inizialmente veniva chiamata ‘Santa Maria ad Praesepem’ perché la primitiva basilica aveva una ‘Grotta della Natività’ identica a quella di Betlemme, dove si collocava inizialmente la reliquia della mangiatoia). Al seguito del concilio di Efeso del 431 si canonizza la rappresentazione della natività. Dopo il Concilio di Efeso del 431 quando è stata proclamata la maternità divina di Maria la sua figura divenne stabile della scena della nascita del Signore, spesso rappresentata a riposo accanto al Bambino. A partire dal VI secolo la Vergine divenne il punto focale della scena. La figura di Giuseppe seduto su un masso, che soppianta il pastore/ profeta compare dal V secolo. Egli si raffigurava di solito sul lato opposto alla Vergine.
   L'iconografia della Natività è basata principalmente su i Vangeli di Matteo (2, 1-12) e Luca (2, 1-20), ma sono importanti anche gli apocrifi (in paricolare il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo dello Pseudo-Tommaso, il Vangelo Pseudo-Matteo, Vangelo siriaco dell'infanzia). La più antica raffigurazione della Natività si conserva nell'affresco delle Catacombe di Priscilla (III secolo) con la Vergine seduta con il Bambino in braccio. Il profeta che le è accanto indica la stella evocando l'oracolo messianico del profeta Balaam: “Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Numeri 24,17). Le antiche rappresentazioni sui sarcofagi risalgono al secolo IV (sarcofagi del Museo Lateranense di Roma). Lì apparve lo schema semplice di una grotta o di una capanna con il Bambino sulla paglia al centro fra il bue e l’asinello che hanno i riferimenti all’Antico Testamento e rappresentano il popolo ebreo (bue) e i pagani (asinello). Come è scritto nel profeta Isaia: "Un bue riconosce il suo proprietario e un asino la greppia del suo padrone" (1, 3). Il profeta Abacuc dice: "Il Signore sarà riconosciuto in mezzo a due animali" (3, 2, secondo la Versione greca dei LXX). L'apocrifo Vangelo dello Pseudo-Matteo, scive sulla nascita: "La beatissima Maria uscì dalla grotta e, entrata in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, e il bue e l'asino l'adorarono" (14, 1).
   Le parole di Isaia "Abiterà in una grotta alta di pietra dura" (Is., 33, 16) sono applicate alla nascita di Cristo dall'apologista Giustino (II sec.) Nel Protovangelo di Giacomo (II sec.) si legge: "Giuseppe trovò una grotta e vi condusse dentro Maria" (18, 1). Anche il Vangelo dello Pseudo-Matteo (13, 2) scrive di una grotta. Era stato affermato da Origene che era possibile visitare questa grotta su quale Sant'Elena costruì la basilica chiamata da S. Girolamo Ecclesia Speculae Salvatoris. Sui sarcofagi iniziano a comparire le figure dei pastori o dei profeti con il rotolo di pergamena.
   Questo, che i primi cristiani si identificavano con i Magi, che manifestavano l'universalità della salvezza per tutte le genti, spinse la diffusione delle immagini dell'Adorazione sin dalla nascita dell'arte cristiana (le raffigurazioni sulla lastra funeraria di Severa (seconda parte del III sec.), nella catacomba dei SS. Pietro e Marcellino di Roma; nella fronte di un sarcofago (prima metà del IV sec.), del Museo Pio Cristiano della Città del Vaticano; nel coperchio di sarcofago (prima metà del IV sec.) di S. Paolo fuori le mura; nel IV sec., nel sarcofago del Museo Ambrosiano di Milano, nel sarcofago di Stilicone della basilica di S. Ambrogio di Milano, nel sarcofago di Adelfia del Museo arcivescovile di Siracusa).
   Nella rappresentazione del cammino verso Bethlemme dei Magi e dell'Adorazione del Bambino sono i versi del Vangelo di Matteo (Mt 2,1-12). Come l'Adorazione dei Magi è interpretato il passo della profezia di Isaia: "Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa..." (Is 60,6). Nel tratto dal Salmo (71,10) si dice: "I re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi". Nel Protovangelo di Giacomo (II secolo) leggiamo: «[I Magi] dicevano, Dov’è nato il re dei giudei? Abbiamo visto la sua stella nell’Oriente e siamo venuti ad adorarlo....[Erode] interrogò i Magi, dicendo, Quale segno avete visto a proposito del re che è nato? I Magi risposero, Abbiamo visto una stella grandissima che splendeva tra queste stelle e le oscurava, tanto che le stelle non apparivano più. E così abbiamo conosciuto che era nato un re a Israele... Ed ecco la stella che avevano visto nell’oriente li precedeva finché giunsero alla grotta e si arrestò in cima alla grotta». Il papa Leone Magno (V sec.) ha dedicato all’Adorazione dei Magi otto Sermoni. Secondo la sua spiegazione, l’Adorazione dei Magi dimostra la vocazione dei gentili. La stella è il segno della luce rivelata ai pagani e rifiutata dagli ebrei ciechi. Nella stella si realizza la profezia di Balaam nell'Antico Testamento: "Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele" (Num 24, 17). Nell'Apocrifo del VI secolo (Codice Arundel 404) è scritto: "Abbiamo visto in cielo la stella del re degli Ebrei e siamo venuti ad adorarlo, perché sta scritto nei libri antichi a proposito del segno di questa stella: quando sarà apparsa nascerà il re eterno e darà ai giusti la vita immortale". Nel Vangelo Armeno dell'Infanzia, fine VI secolo, (cap. V, 10) si riferisce: " Un angelo del Signore si affrettò di andare al paese dei persiani per prevenire i re magi ed ordinare loro di andare ad adorare il bambino appena nato. Costoro, dopo aver camminato per nove mesi avendo per guida la stella, giunsero alla meta proprio nel momento in cui Maria era appena diventata madre. E' da sapere che in quel momento il regno persiano dominava sopra tutti i re dell'Oriente per il suo potere e le sue vittorie". 

    Nelle catacombe romane l’episodio dell’Adorazione dei Magi si rappresenta varie volte con diverso numero dei Magi (nelle catacombe di Domitilla sono quattro, nel cimitero dei Santi Pietro e Marcellino sono due raffigurati in maniera simmetrica). Tertulliano è stato primo a dire che loro erano i re. Origene ha precisato il numero tre. Il vescovo Cesario di Arles li chiamò per i nomi: Gaspare, Melchiorre e Baldassare. Nel Vangelo armeno dell'Infanzia del V secolo si afferma che sono statti tre re. 


 ll mosaico nel monastero di Daphni, XII secolo

   Oltre questi fonti del racconto e della rappresentazione della Narività sono stati integrati i testi medievali della Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, delle Meditazioni sulla vita dello Pseudo-Bonaventura (entrambi del XIII secolo), della Storia dei Tre Re i Giovanni da Hildesheim (XIV secolo) e Celesti Rivelazioni di Santa Brigida.


 
Menologio di Basilio II della fine del X secolo, 
la Biblioteca Apostolica Vaticana (Vat. Graec. 1613)



  Nell'iconografia ucraina il motivo della nascita del Signore è conosciuto attraverso i codici medievali (il Salterio di Gertruda e il Salterio di Kyiv del 1397) e le numerose icone della devozione popolare proveniente dalle diverse parti dell'Ucraina.


La miniatura dell'XI secolo eseguita a Kyiv
nel codice di Gertrude, moglie di Iziaslav I, gran principe di Kyiv (1054-1078),
 (Cividale del Friuli, Museo Archeologico Nazionale, codice CXXXVI, fol. 9 v)

Il Salterio di Kyiv dell'anno 1397



L'icona ucraica del XV secolo

L'Adorazione dei Magi, la metà del XVI secolo, il villaggio Busovysko 
(Museo Nazionale a Leopoli).

sabato 11 maggio 2019

La Gerusalemme Celeste nei mosaici absidali medievali a Roma, di Yaryna Moroz


   

Yaryna Moroz

La Gerusalemme Celeste 
nei mosaici absidali medievali a Roma
Edizioni Sant'Antonio - Omniscriptum , 2017








    Il concetto della Gerusalemme Celeste, che aveva un grande influsso sulla spiritualità medievale, è dominante nelle absidi romani del Medioevo che presentano il trionfo della Gerusalemme Celeste. La realtà celeste delle absidi rispecchia l'idea apocalittica della Gerusalemme Celeste, le figure di Gerusalemme Celeste-Chiesa-Roma-nuova Gerusalemme. I mosaici delle absidi medievali romane creano l'immaginario di Roma come la Nuova Gerusalemme, la capitale della cristianità. La ricerca presenta una visione della Gerusalemme Celeste concepita come raffigurazione dello spazio absidale totale, per questo indaga sull'esegesi iconografica medievale del tema nel contesto teologico e storico.
   Il libro La Gerusalemme Celeste nei mosaici absidali medievali a Roma, di Yaryna Moroz è stato pubblicato nel 2017 con le Edizioni Sant'Antonio - Omniscriptum, e si può richiederlo al seguente link :
www.edizioni-santantonio.com/catalog/details//store/it/book/978-620-2-00012-3/la-gerusalemme-celeste-nei-mosaici-absidali-medievali-a-roma .

sabato 9 marzo 2019

La bellezza che rende visibile la fede : la cappelle del Rosario di Vence, l'arte di Matisse, di Yaryna Moroz Sarno





Yaryna Moroz Sarno



      LA BELLEZZA CHE RENDE VISIBILE LA FEDE :
La cappella del Rosario di Vence 
ARTE DI MATISSE 
 
“Ogni essere umano, in un certo senso è sconosciuto a se stesso.
Gesù Cristo non soltanto rivela Dio, ma ‘svela pienamente l’uomo all’uomo....’
A contatto con le opere d’arte, l’umanità di tutti i tempi – anche quella di oggi aspetta di essere illuminata sul proprio cammino e sul proprio destino” 

                                                                     Giovanni Paolo II, 
Lettera agli artisti, 4 aprile del 1999




    Il rapporto tra cristianesimo e arti visive si configura nel mondo europeo, pur tra alterne vicende, come la storia di una stretta e feconda alleanza. La relazione tra arte e fede trova le sue giustificazioni negli stessi testi fondatori del cristianesimo, a cominciare dal celebre versetto del Prologo del Vangelo di Giovanni: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria di grazia e verità” (Gv 1, 14). Il Dio invisibile si è reso visibile attraverso una forma.
    Il rinnovamento del rapporto tra Chiesa e arte nell’epoca industriale inizia dal movimento liturgico. Il Movimento Liturgico ebbe origine nel XIX secolo e fu intimamente collegato alla rinascita monastica. La sua matrice teologica va individuata in una particolare visione della Chiesa nel Concilio Vaticano I (1869-1870). Con l’elezione al pontificato di Pio X (1903) il Movimento Liturgico entra in una nuova fase. Nel Movimento Liturgico si prefiggono nuovi scopi, tra questi il ritorno all’arte sacra della Chiesa. Gli insegnamenti di SS. Pio X (in particolare nel suo Motu Proprio) invitano e ispirano gli artisti chiamati ad esercitare un’arte sacra e quindi una formazione che faccia loro conoscere lo spirito e le regole del culto della santa Chiesa.
   Tra i Concili del Vaticano I e del Vaticano II aiutono al diffondersi delle nuove idee le riviste di cultura generale, di storia e di cronache artistiche, e le riviste che propriamente appartengono al mondo della ricerca spirituale e teologica e della formazione pastorale liturgica. Lì si potevano leggerre contributi teorici e anche pratici relativi al decoro e alla bellezza dei luoghi sacri e dove si approfondivano i nessi tra arte e teologia, tra arte e pastorale liturgica. Alle radici della Modernità, tra i secoli XIX e XX, le riviste costituiscono un luogo privilegiato del dibattito culturale, letterario e musicale: attenzione particolare è data al mondo dell’arte e vi si confrontano diverse ipotesi critiche in occasioni di importanti mostre di attualità o di ricognizione storica, soprattutto in Francia e Germania. Nel generale risveglio della cultura cattolica europea, tra fine Ottocento e inizi Novecento,  nella ripresa di un associazionismo cattolico laicale, in cui molti raggruppamenti fanno mostra della propria identità artistica, si evidenzia una professionalità specifica all’argomento dell’arte sacra colto in relazione con la vita del magistero della Chiesa.
  Nel 1931 esce il primo numero di "Arte Sacra". In apertura compare un articolo di Giovanni Battista Montini il futuro Paolo VI: “L’arte sacra deve rinnovarsi. Non ci può essere una semplice imitazione di modelli del passato. Ogni epoca deve creare le proprie forme espressive, secondo la stretta relazione di tradizione tomista Bene-Bello: “Il bello è bene che si offre come spettacolo per fare amare l’essere”.
  Il 7 maggio del 1964 papa Montini nel famoso discorso della Sistina, invita gli artisti a essere protagonisti della vita della Chiesa. Papa Paolo VI disse: «Noi abbiamo bisogno di voi. Il nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché come sapete, il nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili, voi siete maestri. È il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità». Tuttavia occorre un rapporto di responsabilità reciproca: «Dobbiamo lasciare alle vostre voci il canto libero e potente di cui siete capaci. E voi dovete essere così bravi da esprimere, da venire ad attingere da noi il motivo, il tema, e qualche volte più del tema, quel fluido segreto che si chiama l’ispirazione, che si chiama la grazia, che si chiama il carisma dell’arte. E, a Dio piacendo, ve lo daremo» (Paolo VI, Omelia nella «Messa degli artisti» [Cappella Sistina, 7 maggio 1964]. Lui invita gli artisti a essere protagonisti della vita della Chiesa. Il 7 maggio, nella cappella Sistina, Papa Paolo VI rivolse agli artisti uno storico discorso: “...Vi abbiamo trattati male, siamo ricorsi ai surrogati, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa... Siamo andati anche noi – il culto di Dio sono stati male serviti... non si sa cosa dite, non lo sapete tante volte neanche voi... Ricarichiamo la pace?”[1] Nel 1966 è pubblicata la nota pastorale della Conferenza episcopale sull’Adeguamento delle Chiese secondo la riforma liturgica, documento che sottolinea il rapporto che deve sussistere tra immagini e spazio architettonico. 
  Nel 1999 Giovanni Paolo II si rivolge agli artisti, mettendo in rilievo l’arte come ponte verso l’esperienza religiosa, anche da parte di chi non si riconosce in una esplicita esperienza di fede. Questo ultimo punto costituisce certamente un tentativo importante per ricucire una frattura che sembra risanarsi solo con grande difficoltà: «Voi sapete […] che la Chiesa ha continuato a nutrire un grande apprezzamento per il valore dell’arte come tale. Questa, infatti, anche al di là delle sue espressioni più tipicamente religiose, quando è autentica, ha un’intima affinità con il mondo della fede, sicché, persino nelle condizioni di maggior distacco della cultura dalla Chiesa, proprio l’arte continua a costituire una sorta di ponte gettato verso l’esperienza religiosa. In quanto ricerca del bello, frutto di un’immaginazione che va al di là del quotidiano, essa è, per sua natura, una sorta di appello al Mistero. Persino quando scruta le profondità più oscure dell’anima o gli aspetti più sconvolgenti del male, l’artista si fa in qualche modo voce dell’universale attesa di redenzione» (Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti [4 aprile 1999]. Giovanni Paolo II anche scrive agli artisti: “La vostra arte contribuisca all’affermarsi di una bellezza autentica che, quasi riverbero dello Spirito di Dio, trasfiguri la materia, aprendo gli animi al senso dell’eterno”. Secondo Giovanni Paolo II (nella sua Lettera agli artisti), l’opera d’arte viene considerata come uno strumento di “conoscenza del loro intimo”, ovvero come ricerca di Verità che porta dritto alla scoperta ed all contemplazione della bellezza del Mistero di Dio.
   La Chiesa del XX s. cercava come comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. La Chiesa stava cercando una testimonianza con un linguaggio contemporaneo, il nuovo lingauaggio liturgico e artistico. L’arte è stato un modo per rendere visibile la fede nel mondo contemporaneo. Due tra più importante artisti del XX s. hanno fatto questo ognuno nel suo modo.


                                            Matisse

  Matisse è uno di più grandi artisti del XX secolo. Alla formazione della poetica matissiana concorsero le impressioni di Van Gogh e di Gauguin, la conoscenza delle arti orientali, delle stoffe moresche, della ceramica persiana, i motivi giapponesi, oltre che l’arte africana. Durante la sua lunga vita abbiamo un continuo decantamento dello stile. Abbandonati gli studi giuridici per dedicarsi alla carriera artistica, frequentò a Parigi l'Académie Julian, l'Ècole des Arts Décoratifs e quindi, dal 1895 al 1899, lo studio di G. Moreau all'École des Beaux-Arts, risentendo in questo periodo, attraverso i contatti con Pissarro, delle esperienze dell'impressionismo (La desserte, 1897, Parigi, collezione privata). Dopo alcuni soggiorni in Inghilterra, in Corsica e nella regione di Tolosa, nel 1902 figura con Marquet e Flandrin ad alcune mostre presso la galleria di Berthe Weil a Parigi. Sono di questi anni alcuni orientamenti ben precisi della sua pittura, già volta all'espressione del colore come fatto autonomo, distaccato da ogni rapporto col disegno costruttivo e di riferimento descrittivo (Veduta di Notre-Dame nel tardo pomeriggio, 1902, Buffalo, Albright-Knox Art Gallery). Fu in questi anni che Matisse meditò con rigoroso approfondimento le esperienze neo-impressioniste (Seurat, Signac) e le scoperte dell'arte africana e asiatica attraverso la lezione di Van Gogh e soprattutto di Gauguin.






   Credeva in Dio a modo suo, era persuaso che esistesse una dimensione ulteriore. Per lui Dio era la Bellezza assoluta e quel che contava era raggiungere questa Bellezza. Questo sforzo per accedere al Bello è paragonabile a quello che compie chi cerca di corrispondere alla volontà di Dio.
  Alla soglia degli 80 anni decorò anche la cappella delle suore domenicane di Vence in Francia. Stabilitosi a Vence nel 1943, si dedicò tra il 1948 e il 1951 alla realizzazione della cappella dei domenicani della Madonna del Rosario, il capolavoro dell'ultima attività, esempio fondamentale delle nuove concezioni e dei nuovi orientamenti dell'arte sacra moderna. Matisse scrive sulla cappella: “Questa cappella è per me l'ultimo traguardo di una vita intera".  


 
  

 













   Matisse desiderava fare di quella cappella un insieme organico di bellezza spirituale. La funzione creativa del colore, il colore che crea forme, la vivezza coloristica che tende all’espressione. Un'ampia retrospettiva che ha riunito dipinti, sculture e disegni dell'artista, dai primi paesaggi giovanili fino alle curiose composizioni con forbici e colla create dal Matisse sessantenne, è stata inaugurata nel 1992 al Metropolitan Museum di New York.
    La cappella del Rosario presso il convento delle suore domenicane di Vence, nel Sud della Francia, è un'opera "totale" di un grande maestro del XX secolo: Henri Matisse. Così lui la definiva "la mia opera", e ad essa lavorò nell'ultimo decennio della sua vita.  La cappella è stata progettata dal grande artista francese nonostante questo non fosse un cattolico praticamente.
   Nel 1941 Matisse, convalescente a Nizza, suo luogo di elezione per la luce mediterranea, è curato da una giovane infermiera che, a guarigione avvenuta, decide di farsi suora. Quando si ammalò però fu seguito da una giovane infermiera che entrò successivamente nell’ordine domenicano.






 
  L'ordine domenicano, nell'immediato dopo guerra, è all'avanguardia nel costruire chiese e nel commissionare vetrate e arredi liturgici affidandosi ai maggiori artisti contemporanei. Su consiglio di suor Jacques-Marie un giovane domenicano entusiasta del rinnovamento dell’arte sacra fra Rayssiguier, istruito da padre Couturier, va a trovare il pittore e gli espone il progetto per una cappella.
    Nelle parole di Matisse stesso o di sr. Jacques-Marie o dei consulenti che lo coadiuvarono nella progettazione, intravediamo spesso, il cosciente richiamo a questa storia, alla tradizione cristiana che da forma alla bellezza. Il reciproco rapporto fra linea e colore viene, nella cappella di Vence, volutamente utilizzato ad esprimere il rapporto fra la creazione e la salvezza, fra l'opera di Dio nella natura e nella incarnazione di Cristo, opera rinnovata continuamente nell'evento liturgico della celebrazione che avviene in un edificio sacro.
   Matisse ha carta bianca, fa tutto: un'architettura di luce semplice e razionale con vetrate che vestono di colore la cappella. L'ambiente è decorato con grandi pannelli di mattonelle in ceramica bianca disegnate con un largo tratto di pennello nero. Una stupenda Madonna con Bambino, una Via Crucis e un gran San Domenico. Tutto è luce, tutto è colore e spirito.
   Matisse propone una arte sintetica del tutto. Suo capolavoro è appunto l’opera della sintesi, della complessità espressa con la massima semplicità, è la sintesi delle arti, sintesi di rappresentazione e decorazione, di simbolo, di coloce e linea. Sua concezione è che l’arte può penetrare le supreme verità dell’essere, le infinite armonie dell’universo, che bisogna andare oltre. Il bello già non è come una forma finita, ma continua, ritmica, non può essere equilibrio statico, un ritmo regolare, ma elastico, e il salire d’intensità e verticalità dove la sensibilità eccitata vola oltre il proprio limite, nella dimensione transcendente.
   La linea è una delle sue caratteristishe fondamentali. La linea di contorno divenne protagonista della sua arte sin dall’inizio, assieme alla radiosità dei toni puri. Le figure senza volto sono una delle caratteristiche stilistiche dell’opere di Matisse. Il motivo della perdita del volto è da ricollegare all’influssi dell’Orienre nell’opera di Matisse.
     É l’inizio di una nuova tecnica di espressione: Matisse raccoglir fogli colorati a tempera e li ritaglia formando composizione. Sono i papiers découpés, fusione ultima di luce e colore, apoteosi della stesura à plats, esplosione di grandi macchie di tinte pure, sintesi bidimensionale privilegiata dall’artista. Forme e colori diventano i protagonisti assoluti di un universo, è il gioco dell’armonia.
     Dal 1941 Matisse è costretto su una sedia a rotelle in seguito all’asportazione di un tumore all’intestino continua a lavorare nel suo studio dell’Hotel Regina di Nizza. Dal 1948 al 1951 Matisse già anzianno e gravamente malato si dedica alla decorazione della Cappella del Rosario a Vence, iniziata per ringraziare le suore domeniche che lo hanno assistito come infermiere nell’ospedale in cui è stato operato. L'artista ha progettato non solo la decorazione di vetrate e pareti, ma anche  il crocifisso, le casule e pissidi.
   La prima pietra viene posta nel 1949 e l'inaugurazione e la consacrazione a Nostra Signora del Rosario avvengono nel 1951. H. Matisse, commentando la Cappella di Vence, diceva: “Il mio lavoro consiste nell'imbevermi delle cose”.









 

 


























Il disegno con forbici









I cartoni diventano ora il pezzo forte della Collezione d’Arte Religiosa Moderna dei Musei Vaticani




















    "Il mio scopo principale nella Cappella era di equilibrare una superficie di luce ...", diceva Henri Matisse. Le vetrate proiettano la luce ed il colore sull’altare in modo da rappresentare la Gerusalemme celeste di Apocalisse 21. Matisse accolse l’idea. Cercando il materiale da utilizzare dichiarò: “Pensando a questo “vetro cattedrale” ho rivisto il passaggio della Gerusalemme celeste: un fiume d’acqua viva, chiara come il cristallo, che sgorga dal trono di Dio e dell’Agnello”. Scrive Matisse : "La scelta dei miei colori non si fonda su alcuna teoria scientifica: si basa sull’osservazione della mia sensibilità. ... cerco semplicemente di metter giù colori che rendano la mia sensazione...".
  L'idea che sovrana si impose a lui è quella dell'Albero della Vita, quell’albero perso da Adamo ed Eva, quell'albero che solo resta alla fine dell'Apocalisse, quando, con la scomparsa del peccato, non ha più posto l'albero della conoscenza del bene e del male, ma solo la vita continuamente donata e rinnovata da Dio. Matisse chiamò la vetrata “L'Albero della Vita”: “La vetrata l'Albero della Vita porta sempre sovranamente la mia idea”. L’albero della vita si compone di due pannelli delle vetrate dell’abside della Cappella. Scelta per la qualità della luce, una “pittura architettonica” che potrebbe rappresentare l’esito ultimo delle sue precedenti ricerche.



























  La linea nera sulle ceramiche bianche, riproponendo le figure cristiane di S. Domenico, della Madonna, e soprattutto del Cristo che sale la via della croce, diviene, invece, il luogo espressivamente più significativo dell'edificio, pur nel continuo rimando al colore che dalle finestre viene proiettato sul bianco e nero delle pareti.
  Nella sua ricerca pittorica, Matisse aveva già sperimentato la rappresentazione di figure umane senza i lineamenti degli occhi e del naso, ma solo con i contorni del viso. Dopo esitazioni – possediamo i disegni preparatori della Vergine e del Bambino con i lineamenti delineati – si decise per la stessa soluzione per le figure della cappella.



















   La Via Crucis non è una processione. Di fronte a quel dramma più profondo dell’umanità, l’artista non può rimanere soltanto uno spettatore. Via della Croce è l'incontro dell’artista con il grande dramma di Cristo che fa riversare sulla cappella lo spirito appassionato dell’artista. Invece di riprodurre questo dramma, egli l’ha vissuto e l’ha espresso così.














   La cappella è stata benedetta il 25 giugno 1951. Matisse in quell’occasione scrisse al vescovo di Nizza: «Eccellenza, Vi presento in tutta umiltà la cappella del Rosario dei Domenicani di Vence…quest'opera mi ha richiesto quattro anni di un lavoro esclusivo e assiduo, essa è il risultato di tutta la mia vita attiva. Io la considero nonostante tutte le sue imperfezioni come il mio capolavoro…».


 


  La Cappella del Rosario concepito da Henri Matisse dal 1948 al 1951 è un monumento d’arte sacra unico al mondo. Matisse elabora i piani dell'edificio e tutti i dettagli della sua decorazione: vetrate, ceramiche, stalli, acquasantiere, oggetti di culto, paramenti sacri.... Per la prima volta un pittore realizza interamente un monumento dall'architettura al mobilio, alle vetrate.


























H. Matisse, Il tondo con la Vergine ed il Bambino all'esterno della Cappella








                                                                                                                L'articolo è scritto nel 2013
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[1] Paolo VI, Incontro con gli artisti nella cappella Sistina, in Insegnamenti di Paolo VI, II. 1964. Città del Vaticano 1965, pp. 315-316.
[2] Giovanni XXIII, Discorso all’Adunanza di chiusura della IX Sattimana di studio promossa dalla Pontificia Accdemia di Arte Sacra in Italia, 27 ottobre, Libreria Editrice Vaticana.


H. Matisse, Scritti e pensieri sull'arte, 2003
G. Marchiori, Matisse, Milano l967, 
M.-T. Pulvenis de Séligny, Matisse. Vence. La cappella del rosario, Milano 2013


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Fonte : scritti e appunti della dott.ssa Yaryna Moroz Sarno, e-mail: yarynamorozsarno@gmail.com .
Sito web: https://yarynamorozsarno.blogspot.com